Il mio lettino è virtuale e il mio
interlocutore immaginario. Forse sarà per questo che mi pone le domande giuste,
a bruciapelo e come se non dicesse niente di che.
Forse è per questo che mi ha
costretto a scrivere. Male. Qualunque cosa transiti nella zucca vuota che ho
sulle spalle. È lì con una verga, pronto a battermi se mi fermo. E urla come
una scimmia africana appesa a testa in giù a una liana.
Contro tutto e tutti.
Al diavolo ogni scadenza. Al diavolo
le consegne. Al diavolo le persone. Scrivi – urla il life coach che c’è in me.
Scrivi e fottitene.
Scrivi e vivi.
Scrivi e cerca di capire.
Sviscera il vuoto che hai in
testa. È un vuoto posticcio e lo sai. Sembra una di quelle trappole ingenue che
costruivi da bimba. Una piccola buca nella sabbia, nascosta da una foglia o da
un mucchietto di ramoscelli.
Chissà poi chi volevi
intrappolare. Il sorite è un ragionamento fallace conosciuto sin dall’antichità
e che sembra godere della proprietà del vago in logica.
Si prenda un pugno di sale e lo
si spinga in un angolo, così da formare indiscutibilmente un mucchietto.
Si tolga un granello di sale. Nel
nostro angolino c’è ancora un mucchietto di sale? Certo. Non basta prender un
granello per eliminare il mucchio.
E ancora un altro granello.
E ancora un altro.
E ancora un altro.
E poi cento.
E poi duecento.
E poi mille.
Dopo aver ripetuto tale operazione
un congruo numero di volte, esiste ancora il mio mucchietto in quell’angolino?
Quando comincia il ‘mucchio’ e
finisce il ‘non-mucchio’?
Quando finisce un progetto e
comincia una sega mentale?
Mi spiego, nel caso remoto in
cui non si comprenda l’impellenza di quest’ultima, così educata e formale, questione.
Si sostituisca al mucchietto un
uomo, uno qualunque e non ci s’interroghi più su cosa sia un mucchio e su
quanti granelli lo compongano e su quanto sia vago il concetto di mucchio. Sono megalomane e non voglio più
giocare a levar granelli, ma ad aggiungere progetti e prospettive. Il mio
problema non è ‘mucchio o non-mucchio’, ma ‘mondo o galassia’.
Data, pertanto, una persona, proiettatala
nel futuro intimamente esaminatene aspettative e piani a breve, medio e lungo
termine che le appartengono, dobbiam formulare un’altra domanda.
Beninteso, sappiamo bene che ci
son tante possibilità e che, in modo direttamente proporzionale alla tendenza
al sogno, chiunque ne percorre un numero congruo. Almeno con la fantasia. Debole
e pallida scoperta. Ma allora quando l’ennesimo piano B non è più un’alternativa,
ma si trasforma in un fattore superfluo che complessifica la situazione, senza
apportare niente di positivo?
Fino a quando possiamo parlare
di progettualità, senza che si trasformi in pippa mentale controproducente,
svolgente funzione di anti-presente o di a-presente?
Talvolta i miei piani m’impediscono
di vivere alla giornata. E persino di esser felice.
Certo, i miei piani e il mio
tentativo di previsione sono quello che mi distingue dalla scimmia della stanza
di sopra.
Ma, dio, quanto vorrei essere,
talvolta, quella scimmia.
Il terapista schizofrenico
nella mia testa si è placato. Si accontenta di poco, in fondo. Sul suo
bloc-notes ha scritto, con grafia elegante:
“10 Marzo 2013, la paziente
dimostra difficoltà a conciliarsi con un futuro incerto. Fatica ad accettare di
non sapere dove sarà nel medio-lungo temine. E di non sapere neanche chi voglia
davvero diventare.
È torturata dall’annosa
questione dello statuto della filosofia e del ruolo del filosofo e divisa in
due tra l’apparato formale della filosofia analitica e l’ineffabilità dei
continentali.
Nonostante un quadro globale
pericolante, si può tuttavia sperare in lenti, impercettibili e significativi
miglioramenti. Ha almeno, infatti, deciso di ricominciare a scrivere”.