domenica 10 marzo 2013

La mano di tarocchi che non sai mai giocare, che non sai mai giocare.



Il mio lettino è virtuale e il mio interlocutore immaginario. Forse sarà per questo che mi pone le domande giuste, a bruciapelo e come se non dicesse niente di che.
Forse è per questo che mi ha costretto a scrivere. Male. Qualunque cosa transiti nella zucca vuota che ho sulle spalle. È lì con una verga, pronto a battermi se mi fermo. E urla come una scimmia africana appesa a testa in giù a una liana.
Contro tutto e tutti.
Al diavolo ogni scadenza. Al diavolo le consegne. Al diavolo le persone. Scrivi – urla il life coach che c’è in me.
Scrivi e fottitene.
Scrivi e vivi.
Scrivi e cerca di capire.
Sviscera il vuoto che hai in testa. È un vuoto posticcio e lo sai. Sembra una di quelle trappole ingenue che costruivi da bimba. Una piccola buca nella sabbia, nascosta da una foglia o da un mucchietto di ramoscelli.
Chissà poi chi volevi intrappolare. Il sorite è un ragionamento fallace conosciuto sin dall’antichità e che sembra godere della proprietà del vago in logica.
Si prenda un pugno di sale e lo si spinga in un angolo, così da formare indiscutibilmente un mucchietto.
Si tolga un granello di sale. Nel nostro angolino c’è ancora un mucchietto di sale? Certo. Non basta prender un granello per eliminare il mucchio.
E ancora un altro granello.
E ancora un altro.
E ancora un altro.
E poi cento.
E poi duecento.
E poi mille.
Dopo aver ripetuto tale operazione un congruo numero di volte, esiste ancora il mio mucchietto in quell’angolino?
Quando comincia il ‘mucchio’ e finisce il ‘non-mucchio’?
Quando finisce un progetto e comincia una sega mentale?
Mi spiego, nel caso remoto in cui non si comprenda l’impellenza di quest’ultima, così educata e formale, questione.
Si sostituisca al mucchietto un uomo, uno qualunque e non ci s’interroghi più su cosa sia un mucchio e su quanti granelli lo compongano e su quanto sia vago il concetto di mucchio. Sono megalomane e non voglio più giocare a levar granelli, ma ad aggiungere progetti e prospettive. Il mio problema non è ‘mucchio o non-mucchio’, ma ‘mondo o galassia’.
Data, pertanto, una persona, proiettatala nel futuro intimamente esaminatene aspettative e piani a breve, medio e lungo termine che le appartengono, dobbiam formulare un’altra domanda.
Beninteso, sappiamo bene che ci son tante possibilità e che, in modo direttamente proporzionale alla tendenza al sogno, chiunque ne percorre un numero congruo. Almeno con la fantasia. Debole e pallida scoperta. Ma allora quando l’ennesimo piano B non è più un’alternativa, ma si trasforma in un fattore superfluo che complessifica la situazione, senza apportare niente di positivo?
Fino a quando possiamo parlare di progettualità, senza che si trasformi in pippa mentale controproducente, svolgente funzione di anti-presente o di a-presente?
Talvolta i miei piani m’impediscono di vivere alla giornata. E persino di esser felice.
Certo, i miei piani e il mio tentativo di previsione sono quello che mi distingue dalla scimmia della stanza di sopra.
Ma, dio, quanto vorrei essere, talvolta, quella scimmia.
Il terapista schizofrenico nella mia testa si è placato. Si accontenta di poco, in fondo. Sul suo bloc-notes ha scritto, con grafia elegante:
“10 Marzo 2013, la paziente dimostra difficoltà a conciliarsi con un futuro incerto. Fatica ad accettare di non sapere dove sarà nel medio-lungo temine. E di non sapere neanche chi voglia davvero diventare.
È torturata dall’annosa questione dello statuto della filosofia e del ruolo del filosofo e divisa in due tra l’apparato formale della filosofia analitica e l’ineffabilità dei continentali.
Nonostante un quadro globale pericolante, si può tuttavia sperare in lenti, impercettibili e significativi miglioramenti. Ha almeno, infatti, deciso di ricominciare a scrivere”.