venerdì 7 dicembre 2012

Io mi sento Italiana e -per fortuna o purtroppo- lo sono.



Sono tranquilla nella mia bella biblioteca, nel quinto arrondissement, al centro di Parigi.
L’Italia è lontana anni luce. I socialisti guidano il Paese e sono davvero in un mondo diverso. Un Altro mondo, quasi. La politica qui funziona. Esistono gli aiuti anticrisi alle famiglie e, non appena si avverte il sentore di un provvedimento ingiusto, i francesi scendono nelle piazze e protestano.
Ammiro questa capacità e ammiro la macchina-stato, tanto ben oliata da garantire un Welfare ai suoi cittadini.
C’è solo un problema.
Mio dio.
Io non sono Francese. Io non parlo il francese. O meglio, lo parlo a modo mio. Riesco a interagire e a risolvere qualunque situazione. Non faccio più tanti errori, azzecco i congiuntivi e, in fondo, sto cominciando ad amare questa città.
Ma io non sono Francese.
Io sono Italiana.
Io sono un’Italiana che parla francese.
Io mi sento Italiana.
In Italia ho la mia famiglia, le mie radici, i miei affetti. La mia lingua, il mio modo di interagire. L’Italia è la mia patria, per dirla con un termine retrò. E, per carità, anche l’Europa è la mia patria e, nello spazio di Schengen, sono assolutamente a mio agio.
Ho 24 anni, il futuro dovrebbe essere mio, come il mondo, del resto.
Ho 24 anni e l’anno prossimo devo scegliere cosa fare della mia vita.
Ho 24 anni e sono sotto l’albero della Tamaro, incerta sulla strada da imboccare.
Il mio cuore dice che amo il mio paese.
Dice che sono pronta a fare la gavetta ovunque e in ogni luogo. A fare i caffè. A non esercitare la professione per la quale ho studiato.
E questa gavetta può durare anni, decenni.
Sono pronta a tutto.
Sono pronta a tutto, pur di tornare, in un giorno lontano di un futuro nebuloso.
Son pronta a stringere i denti. A sentire la mancanza come un marchio a fuoco sulla pelle. A parlare lingue non mie, io che amo così tanto le sfumature dell’italiano.
Non sono una scansafatiche e per questo, un anno fa, ho deciso di andar via.
Per costruirmi. Per gettare le basi della donna che vorrei diventare. Nella speranza, un giorno, di poter dare quello che ho ricevuto e che ricevo ogni giorno. Con il sogno di entrare in una classe e insegnare.
Io sono Italiana. E disperata.
Sono disperata.
Stanno distruggendo il mio Paese. Stanno distruggendo il mio futuro. Berlusconi ha deciso di impedirmi di tornare.
Qui regna il silenzio, tutti lavorano alacremente e se all’improvviso mi alzassi e iniziassi a piangere convulsamente certo resterebbero attoniti.
Grido di rabbia, perché mi stanno rubando il futuro.
Cosa significa il gesto irresponsabile di uno stronzo che decide di tornare in politica per tornaconto personale?
Significa che io, in Italia, non tornerò mai. Significa che devo riprogettare la mia vita. Significa che devo dire addio al mio Paese e al sogno di entrare in una classe e parlare l’italiano.
Siamo in tanti qui. Sono così tanti gli italiani nel mondo. Talmente tanti che sembra una diaspora. Alcuni si sono arresi e progettano il loro futuro altrove.
Io, no. Come un’idiota, pensavo potesse andar meglio.
Io, classe 1988, figlia del berlusconismo, delle veline-prostitute e delle leggi ad personam. Io che ho apprezzato e apprezzo Monti, perché è il primo politico serio. Io che, per abitudine culturale, apprezzerei qualunque politico che non dica barzellette in televisione e che non faccia le corna alla Merkel.
Berlusconi ha deciso di ridiscendere in campo. Ha deciso di distruggere il mio futuro.
Urlo, in questa biblioteca silenziosa. Ho il cuore a pezzi.
Berlusconi ha infranto il mio sogno di un’Italia diversa e di un paese in cui, dopo anni di gavetta, finalmente poter tornare.
Lo disprezzo. Disprezzo l’entourage di veline che osano dirsi amazzoni. Disprezzo i politichini di carta che lo circondano.
Non sono tra quelli che hanno sperato in un suo ritorno, ma tra quelli che si augurano una sua dipartita definitiva.
Ho 24 anni e avevo diritto all’Italia.

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