Sono tranquilla nella mia bella
biblioteca, nel quinto arrondissement, al centro di Parigi.
L’Italia è lontana anni luce. I
socialisti guidano il Paese e sono davvero in un mondo diverso. Un Altro mondo,
quasi. La politica qui funziona. Esistono gli aiuti anticrisi alle famiglie e,
non appena si avverte il sentore di un provvedimento ingiusto, i francesi
scendono nelle piazze e protestano.
Ammiro questa capacità e ammiro
la macchina-stato, tanto ben oliata da garantire un Welfare ai suoi cittadini.
C’è solo un problema.
Mio dio.
Io non sono Francese. Io non
parlo il francese. O meglio, lo parlo a modo mio. Riesco a interagire e a
risolvere qualunque situazione. Non faccio più tanti errori, azzecco i congiuntivi
e, in fondo, sto cominciando ad amare questa città.
Ma io non sono Francese.
Io sono Italiana.
Io sono un’Italiana che parla
francese.
Io mi sento Italiana.
In Italia ho la mia famiglia,
le mie radici, i miei affetti. La mia lingua, il mio modo di interagire.
L’Italia è la mia patria, per dirla con un termine retrò. E, per carità, anche
l’Europa è la mia patria e, nello spazio di Schengen, sono assolutamente a mio
agio.
Ho 24 anni, il futuro dovrebbe
essere mio, come il mondo, del resto.
Ho 24 anni e l’anno prossimo
devo scegliere cosa fare della mia vita.
Ho 24 anni e sono sotto l’albero
della Tamaro, incerta sulla strada da imboccare.
Il mio cuore dice che amo il
mio paese.
Dice che sono pronta a fare la
gavetta ovunque e in ogni luogo. A fare i caffè. A non esercitare la
professione per la quale ho studiato.
E questa gavetta può durare
anni, decenni.
Sono pronta a tutto.
Sono pronta a tutto, pur di
tornare, in un giorno lontano di un futuro nebuloso.
Son pronta a stringere i denti.
A sentire la mancanza come un marchio a fuoco sulla pelle. A parlare lingue non
mie, io che amo così tanto le sfumature dell’italiano.
Non sono una scansafatiche e
per questo, un anno fa, ho deciso di andar via.
Per costruirmi. Per gettare le
basi della donna che vorrei diventare. Nella speranza, un giorno, di poter dare
quello che ho ricevuto e che ricevo ogni giorno. Con il sogno di entrare in una
classe e insegnare.
Io sono Italiana. E disperata.
Sono disperata.
Stanno distruggendo il mio
Paese. Stanno distruggendo il mio futuro. Berlusconi ha deciso di impedirmi di
tornare.
Qui regna il silenzio, tutti
lavorano alacremente e se all’improvviso mi alzassi e iniziassi a piangere
convulsamente certo resterebbero attoniti.
Grido di rabbia, perché mi
stanno rubando il futuro.
Cosa significa il gesto
irresponsabile di uno stronzo che decide di tornare in politica per tornaconto
personale?
Significa che io, in Italia,
non tornerò mai. Significa che devo riprogettare la mia vita. Significa che
devo dire addio al mio Paese e al sogno di entrare in una classe e parlare l’italiano.
Siamo in tanti qui. Sono così
tanti gli italiani nel mondo. Talmente tanti che sembra una diaspora. Alcuni si
sono arresi e progettano il loro futuro altrove.
Io, no. Come un’idiota, pensavo
potesse andar meglio.
Io, classe 1988, figlia del
berlusconismo, delle veline-prostitute e delle leggi ad personam. Io che ho
apprezzato e apprezzo Monti, perché è il primo politico serio. Io che, per
abitudine culturale, apprezzerei qualunque politico che non dica barzellette in
televisione e che non faccia le corna alla Merkel.
Berlusconi ha deciso di
ridiscendere in campo. Ha deciso di distruggere il mio futuro.
Urlo, in questa biblioteca
silenziosa. Ho il cuore a pezzi.
Berlusconi ha infranto il mio
sogno di un’Italia diversa e di un paese in cui, dopo anni di gavetta,
finalmente poter tornare.
Lo disprezzo. Disprezzo
l’entourage di veline che osano dirsi amazzoni. Disprezzo i politichini di
carta che lo circondano.
Non sono tra quelli che hanno
sperato in un suo ritorno, ma tra quelli che si augurano una sua dipartita
definitiva.
Ho 24 anni e avevo diritto
all’Italia.
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