lunedì 7 novembre 2011

I tre fiammiferi di Prévert

La canzone del sole        Joe Dassin - Les Champs-Élysées


Digito un ritmo. Scrivo al suono di una canzone, nella speranza di ricrearla. Ballo col mio schermo a cristalli liquidi. È un pop di sola chitarra classica. La star è un uomo dal naso forte, di bianco vestito e ondeggiante, in un’emissione in bianco e nero. È La canzone del sole francese. La intonano gli adolescenti, durante le lunghe notti di Ferragosto. Sui suoi accordi, impara a suonare la chitarra l’autodidatta di turno. Si tratta d’amore, ovviamente. E siamo a metà degli anni Settanta circa. La trama non è delle più articolate. Ma la location è polvere di stelle e riveste d’incanto la nostra storia.
Un uomo passeggia. È domenica mattina. Ha voglia di dir qualcosa a chiunque. Si imbatte in una donna. Se ne innamora. Il giorno prima, due sconosciuti. Il mattino dopo, due amanti storditi dalla lunga notte. Lungo gli Champs Elisées.
C’è tutto quello che si può desiderare, sugli Champs Elysées, canta Joe Dessin.
E una ragazza afroamericana si muove a scatti. Ritmo nel sangue. Eleganza di movimenti brevi e puliti. Ha capelli tanto crespi da demoralizzare ogni piastra. Un vestitino verde bottiglia. Accompagna, con i suoi scatti educati, una cinese curata, dalla gonna rosa vertiginosamente corta. Due superpotenze affiatate, in una pista da ballo scatenata. Cantano e accarezzano con il corpo il sax di Joe Dessin. Un remix malriuscito, circa quarant’anni dopo.
Ma la location rende sempre tutto più magico. Aux Champs Elysées.
Allora, scopri di essere a Parigi, a ballare in uno scantinato, durante una serata poliglotta. Il miracolo interculturale delle metropoli europee condensato in una coppia di ragazzine che ballano insieme, sincronicamente, canticchiando all’unisono Aux Champs Elysées. La difficoltà di una conversazione multiculturale e la necessità di confessare, messa alle strette, di non avere la minima idea di dove sia l’isola di Mayotte, l’amata patria dell’interlocutore di turno. Salvo poi scoprire che si tratta di un isolotto minore e sacrificare dieci secondi del tuo prezioso tempo a GoogleMaps, in nome di una grave lacuna geografica. Senza considerare gli incontri ravvicinati del terzo tipo. Internazionali anche quelli. Arabi preda del fascino delle bionde a gogo. Francesi colpiti da gravi forme di disadattamento. Il tentativo di spiegare a un monodimensionale ingegnere francese, reduce da un Erasmus a Milano, perché sei bionda, il contrario del prototipo dell’italiana mediterranea e scura. La storia della dominazione normanna del Sud e di una certa Costanza d’Altavilla non lo convince. Continua a credere che io sia ucraina o russa. Al massimo, moldava. Quarantenni avvizzite e ubriache. Seminude. Vecchi tristi con scarpe da tip tap.
Sale al cuore un altro ritmo. La “r” gutturale rollata e sottolineata è la stessa di Piaf e Dessin. Si tratta sempre d’amore. Ma non canta piu’ il Lucio Battisti d’Oltralpe. Stavolta è il De Andrè francese. Jacques Brel e “I nomi di Parigi”. La Senna che passeggia e guida il mio cammino. Ed è sempre Parigi.
Un post tautologico, ispirato dalla legge di Scoto.
Se fascino e miseria, allora Parigi.

2 commenti:

  1. per quando verrò la saprò suonare

    RispondiElimina
  2. Sapevi che sapevi che pensavo a te.
    Ti aspetto qui da me.
    Mariangela

    RispondiElimina