venerdì 25 novembre 2011

Prendete e bevetene tutti

http://www.youtube.com/watch?v=kDwVPQIp334

Insolito tappo azzurro con fiocco. Etichetta verdarancio. Bottiglia in plastica riciclata.
Stap. Glug.
Inizia a scorrere un liquore denso. Odoroso. Scuro. Un rhum aspro, da accompagnare a puro fondente 99%.
Il liquido si spande. Si allarga in pozzanghera. L’aroma è forte. Non lo si dovrebbe aspirare troppo in profondità. Può nuocere alla salute, danneggiare il cervello, forare i polmoni.
Ma ormai è fatta.
La mia anima si è stappata e io non riesco ad astenermi dallo scrivere. Anche se non scrivo di nulla in particolare. Sebbene il banale soggetto di un post rosa pallido su sfondo fucsia sia solo io. Se aveste la possibilità di vedermi, ve ne rendereste conto senza proferir parola. Capireste che sono in un periodo di sbandamento mentale e intuireste che tento di gestire le emozioni al meglio. Brandisco la mia ragione come un domatore di leoni brandisce la sedia al circo. Però poi finisce male e i leoni lo sbranano.
Soccombo di fronte ai miei pensieri. Mi confonde la lingua, mi confondono le persone. Troppo penso, perché troppo ho da dirmi. E risulto formale persino con me stessa.
Odiosamente manierata.
E tutto questo non dovrei scriverlo, se voi poteste vedermi.
Però.
Però sono a chilometri di distanza. Però torno tra un mese. Però ho un mucchio di eventi da immortalare, di storie da raccontare e non posso aspettare ancora.
No, altrimenti muoio.
Se fossi un barbone, sarei come lui.
Immaginiamo che si chiami Petr, sia russo e alcolizzato.
Immaginiamo che viva nei pressi di rue d’Ulm. Precisamente, nello spazio antistante l’Ecole Normale Superieure farlocca. Non la NormaleSup, rifugio e alcova dei coccolati – e infelici – migliori cervelli di Francia.
Petr vive sotto le colonne della Scuola Superiore delle Arti. Accanto alla chiesa maronita. Ha trovato una grata confortevole, da cui escono sbuffi di aria calda. Un bel posto, in fondo. Alle otto, la sera, quando rientro a casa, lo trovo sempre lì. Comodamente sdraiato sui suoi cartoni isolanti.
Cuscino sotto la testa. Maxi-plaid avvolgente. Petr legge il giornale.
A Parigi, il gelo non è ancora arrivato davvero. Splende spesso il sole. Un sole freddo, ma rassicurante.
Temo l’abbassamento di temperatura fulmineo di cui parla il meteo. Temo di svegliarmi un giorno e trovare la neve.
Temo per Petr.
Chi si accorgerebbe che non c’è più? Chi potrebbe dare l’allarme, se non fosse al suo posto, intorno alle 20.00, a leggere il giornale?
Come ci si accorge che un barbone è scomparso?
Non so neanche quale sia il suo vero nome.
La mia unica certezza è che politicamente sia un moderato. La sua lettura preferita è Le monde.
E la tua, qual è?
Ti sintonizzi su Al Jazeera tutti i giorni?
Ti ho visto, sai. Ti ho letto dentro.
All’inizio non ho pensato molto a te. Ci siamo incontrati stamattina. O forse ieri, non ricordo. La clessidra del tempo qui ha un modo di scorrere tutto suo. Ogni granello cade nell’eternità e nel buio. Ma noi ci siamo visti.
Ci incontriamo in bagno. O nei dintorni. La prima volta son scappata.
Non perché avessi gli occhi gonfi del sonno. Sono scappata perché, diciamocelo, è imbarazzante incontrarsi in bagno. Sebbene fossi andata solo per controllare la lavatrice, non è propriamente piacevole.
Sei nella stanza 119, credo. Due porte più in là della mia.
Anche la seconda volta son fuggita a gambe levate. Non so bene perché. Forse perché gli arabi sono colpiti dalle bionde e io volevo evitare di esser paragonata a dieci cammelli.
Eppure, l’incontro di un attimo mi è bastato per afferrarti. Gli occhi castani divisi da una patata che funge da naso hanno parlato.
Dici solo Bonjour. Forse non parli un gran francese.
O forse lo studi da quindici anni e puoi sfoggiare un eloquio fluente.
Forse sei iracheno.
O piuttosto iraniano.
Senza alcun dubbio, timido.
O meglio, impaurito e spaurito.
Il verbo saisir, in francese, ha molteplici sfaccettature e una vasta gamma di utilizzi. In linea di massima, significa afferrare, cogliere al volo. Ecco, penso di aver afferrato il tuo stato d’animo, caro sconosciuto. Caro – tenero – coinquilino.
Ti senti solo. Ti hanno appena catapultato in un mondo che non è il tuo. In una lingua che non è la tua. In una camera che non è la tua.
La tappezzeria damascata del miniappartamento ad Abu Dhabi, gentile concessione di tuo padre, impallidirebbe di fronte ai muri bisognosi di una mano di pittura della stanza di Jourdan.
La tua lingua madre è l’arabo e i tuoi amici, di norma, sbeffeggiano queste sciocche lingue neolatine che richiedono soggetto-predicato e complemento. Questi poveretti che scrivono da sinistra verso destra.
Quanto ti senti solo.
I tuoi occhi castano scuro sono pozzi di solitudine. Di malinconia lancinante. Strugge l’anima, la malinconia. Sei un Odisseo che soffre il dolore del ritorno. Non riesci ad addormentarti, spesso.
E non è colpa del fuso orario. Parli su Skype a notte fonda. Il materasso è così scomodo.
Tu così solo.
Qualcuno ti ha giocato un brutto tiro. Ha materializzato radici che non pensavi di avere. Sì, proprio tu, sognatore a occhi aperti. Proprio tu che speravi di andar via il prima possibile, di lasciare quel Paese orribile. Proprio tu che immaginavi, a bocca aperta, l’Europa. Il vecchio continente. Parigi.
Quel qualcuno brutalmente ha messo a nudo le tue radici. E le ha tranciate di netto.
Ecco perché ora ti sembra di avere dei cordoni di carne viva spezzati nello stomaco.
Stai tranquillo. Si cicatrizzerà tutto. Starai meglio.
Abbi fede: guarirai. Ricorda l’algos del nostos di Odisseo e perdonami, se non riesco a trovare i caratteri greci.
La magia della sovrastruttura umana è che si costruisce un piano dopo l’altro. Ma nessuno ci assicura che il nostro edificio sia antisismico.
Una povera europea che vive a due porte di distanza dalla tua, ti pensa, caro Odisseo.
Per ora mi limito a scriverti la poesia di Kavafis che ho letto nei tuoi occhi.
Ma non preoccuparti: domani ti cercherò.
Ti tenderò un agguato in bagno!
E ti chiederò come stai.

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà` questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
ne' nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d'ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos'altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già` tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Kostantin Kavafis


Nessun commento:

Posta un commento